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Live in der DD(D)R, quarant’anni dopo. I CCCP si riprendono Berlino varcando per la prima volta il vecchio settore orientale

today29/02/2024 94

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Questo Muro ha una sua logica, pare indifferente a tutto, sormonta marciapiedi, impone curve, restringimenti, anfratti. Non provo nulla meno banale di una inquietudine diffusa […] ricordo che per i tedeschi “Muro” è sostantivo femminile. É una signora, die Mauer. Una signora muraglia austera e disadorna, dal seno piatto, vestita di grigio.

Così Massimo Zamboni, nella sua autobiografia Nessuna Voce Dentro, descrive il suo primo incontro con quella parete in cemento, icona di un’epoca così vicina e insieme così lontana.

Del muro di Berlino, oggi, non è rimasto quasi nulla, se non qualche scampolo da esposizione e la nota East Side Gallery, galleria a cielo aperto nel quartiere di Friedrichshain su cui artisti da tutto il mondo hanno lasciato la propria impronta colorando gli oltre mille metri di pietra. Frammenti di muro rapidamente divenuti, da segno di oppressione, espressione di gioia, memoria, libertà.

Migliaia di turisti ogni giorno si fermano a scattare foto ai vari murales, tra i quali spicca uno su tutti, quello del bacio tra Erich Honecker e Leonid Breznev, rispettivamente leader della Repubblica Democratica Tedesca e dell’Unione Sovietica, simboli di un mondo ormai scomparso. La guerra fredda, l’Est e l’Ovest, Ost Berlin, West Berlin. Attraversando il ponte “Oberbaumbrücke”, dall’East Side Gallery si entra a Kreuzberg, quartiere alternativo per eccellenza, un tempo porta di Berlino Ovest e fin dagli anni ‘80 residenza e punto di ritrovo per squatters e ribelli. Ma anche e soprattutto residenza della più grande comunità turca nel mondo.

Rimanendo a Friedrichshain, invece, in quella che una volta era la capitale della Repubblica Democratica Tedesca (la DDR), dopo qualche minuto a piedi ci si imbatte nel “Raw Gelande”, ex complesso ferroviario divenuto oggi un luogo culturale e artistico poliedrico, ricco di graffiti, street food, bar e locali notturni. Tra questi, l’Astra Kulturhaus, locale notturno dedito soprattutto a concerti, divenuto in tre giorni casa di quasi cinquemila italiani.

Fotografia di Michele Piazza

«Cantavamo wir sind die Türken von Morgen. Roba da forza lavoro a basso costo, ma sepolto Ataturk la sublime porta ottomana è lo skyline di Istanbul, non roba nostra. Nella mia Berlino, il Reichstag è un palazzotto vetusto, fuori mano, in fondo al pato, e sul prato, davanti, al tramonto, pascola un branco di cervi. Dietro c’è il muro e una torretta per guardare oltre. Sic transit gloria mundi». É la voce di Giovanni Lindo Ferretti che, ad inizio concerto, ripercorre, a modo suo, la sua gioventù berlinese. Accanto a lui Annarella, benemerita soubrette, Fatur, artista del Popolo, Massimo Zamboni, chitarrista. Tutto vero, i CCCP si sono riuniti e stanno suonando nella città dove tutto cominciò più di quarant’anni fa, varcando per la prima volta l’est di Berlino, quella che non a caso definiscono Deutsche Demokratische Dismantled Republik.

No non ora non qui questa pingue immane frana.

Depressione Caspica apre le danze del secondo dei tre live previsti tra il 24 e il 26 Febbraio. Ferretti conserva quella voce struggente e liturgica, parzialmente logorata dalla serata precedente, accompagnata dalla chitarra inconfondibile di Zamboni. Non c’è più la drum machine, per questa storica reunion berlinese ad accompagnare i CCCP ci sono tre batterie, suonate da Gabriele Genta, Simone Beneventi e Simone Filippi. Il basso è affidato alle mani esperte ed eleganti di Luca Rossi, mentre Ezio Bonicelli si alterna tra chitarra e violino. Neanche il tempo di realizzare dove sono e parte l’arpeggio di Morire, tormentoso, ipnotico, e inebriante al tempo stesso. Su «Produci, consuma, crepa» le circa mille e cinquecento persone presenti (di fatto tutte italiane) iniziano a muoversi, a scaldarsi, preludio di un pogo che esploderà con Per me lo So, portandomi di colpo dalla terza fila a metà locale. Fa niente.

Fotografia di Michele Piazza

C’è chi ha criticato la reunion dei CCCP a quarant’anni dall’uscita di Ortodossia, chi da decenni, e in particolar modo dalla firma con Virgin, li accusa di essersi venduti al capitalismo (quale capitalismo?) dimostrando di non aver mai capito chi sono i CCCP. La storia del punk-rock italiano si riunisce e, in particolar modo per chi non ha potuto vivere quei tempi per meri motivi anagrafici, è un appuntamento storico. Indefinibile.

La climax musicale iniziata con il pogo di Per me lo so e continuata con Curami, trova il suo apice in Emilia Paranoica, in parte modificata per l’occasione. «Consumato, distrutto, un po’ annoiato, sazio, disperato, terremotato» aggiunge Ferretti al resto del brano. Osservo le persone intorno a me e c’è anche chi, avendo vissuto quegli anni ’80 di cui trasuda non solo Emilia Paranoica ma l’intera discografia dei CCCP, si commuove. Non lo posso capire ma è segno indelebile di quello che ha saputo lasciare un gruppo senza eguali.

Fotografia di Michele Piazza

Annarella entra, esce, riappare sul palco ogni volta con un abito diverso. Suora in Libera me Domine, infermiera in Emilia Paranoica. Uniforme da capotreno, Niqab, lunga veste tricolore. La danza su Radio Kabul, vestita con un variopinto capo orientale, forse afghano, è ipnotica. Eleganza e sensualità, perpetue. Fatur non smette mai di muoversi, l’energia non è ovviamente quella di un tempo ma “l’artista del popolo” non sfigura. Gli addominali hanno lasciato spazio ad una pancia non secondaria che ai miei occhi crea esattamente lo stesso effetto del Danilo di quarant’anni fa. Una presenza a tratti inquietante, a tratti irragionevole, ma in simbiosi perfetta con il resto dello spettacolo. Il pubblico lo acclama: «Fatur, Fatur, Fatur».

Poghi e spinte punkettone riprendono con Punk Islam e Spara Jurij, quest’ultima introdotta da Bang Bang degli Equipe 84, band modenese che nel 1966 tributò Sonny Bono realizzandone la cover italiana più famosa. Annarella, con parrucca rossa e riccia, e Lindo Ferretti, stivali neri e indumenti verde militare, fingono di colpirsi con pollice e indice alzati a mo’ di pistola, prima che le urla di Ferretti e la batteria diano il via al secondo dei tre brani che nel 1984 segnarono la nascita dei CCCP. «Felicitazioni, felicitazioni, felicitazio-o-ni».

Fotografia di Michele Piazza

La scaletta del 25 febbraio si completa con Tu menti, Oh Battagliero, Stati D’agitazione, Islam Punk, Allarme e un’altra cover, Kebab Traüme dei D.A.F. colonna sonora delle notte berlinesi dei primi anni ‘80 in cui avvenne quell’incontro casuale tra Zamboni e Ferretti destinato a cambiare per sempre la musica italiana. Wir sind die Türken von morgen non viene che da lì.

L’encore contribuisce a non far svanire la pelle d’oca. I CCCP sono stati molto più di un gruppo punk e Amandoti ed Annarella ne sono forse la dimostrazione più concreta. Zamboni imbraccia la chitarra acustica e si siede accanto ai tre compagni di viaggio. Come ad inizio concerto, l’attenzione e i riflettori sono soltanto sui 4 CCCP. Le note sono inconfondibili.

Lasciami qui lasciami stare lasciami così non dire una parola che non sia d’amore per me per la mia vita che è tutto quello che ho è tutto quello che io ho e non è ancora finita…fi-ni-ta.

Palco e pubblico sono in simbiosi e la ciliegina sulla torta è il violino di Ezio Bonicelli, che chiude il concerto scandendo Amandoti.

Il palco è di nuovo vuoto, l’incredulità di aver appena assistito ad un concerto storico si confonde con la consueta sensazione che questo sia durato troppo poco. Non possono essere passate già due ore, è impossibile. I CCCP torneranno sul palco domani sera per l’ultima data, ma prima che la musica dell’Astra Kulturhaus certifichi definitivamente la fine del live, dalle prime file iniziano a cantare. Non è il moderno (e odioso) ritornello che spesso si sente in questi momenti, a invocare l’artista di turno a suonare l’ultima canzone. L’intero locale si racchiude in un canto commovente. «Madre di dio e dei suoi figli madre dei padri e delle madri, madre oh madre oh madre mia l’anima mia si volge a te». Madre riecheggia tra le mura dell’Astra KulturHaus, a pochi passi da quello che per 28 anni è stato il confine tra Berlino Est e Berlino Ovest. A breve distanza da Kreuzberg, dalle case occupate e dai kebab di ogni tipo. A Istanbul sono a casa, corro di fianco al muro. 40 anni dopo, il cerchio si è chiuso.

Scaletta CCCP in Der DDR, 25/02/2024:

Depressione caspica
Morire
Oh! Battagliero
Stati d’Agitazione
Libera me domine
Per me lo so
Tu menti
Curami
Emilia Paranoica
Islam Punk
Radio Kabul
Bang Bang (Cover Equipe 84)
Spara Jurij
Annarella
Allarme
Kebab Traüme (Cover D.A.F.)
Amandoti

Written by: Filippo Sconza

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